Sono sicura di aver chiuso l’imposta, ieri sera. Eppure, la camera è attraversata da un azzurro pieno. Da stesa come sono, mi tiro un po’ su. Sistemo il cuscino in modo da potermi appoggiare. Che sia stata sempre così, la parete di fronte al letto? Me ne sarei accorta. Ieri era solo intonaco. Bianca, liscia. Infilo gli occhiali lasciati sul comodino. Nessun cambiamento nella superficie. Nessun alone. Nessuna fessura. Solo quell’azzurro compatto, più vicino alla carta da zucchero che al cielo. Provo a sbattere le palpebre. Niente. È come se il cielo di fuori si fosse spostato lì, sul muro. La mancanza di un orizzonte mi tranquillizza. E se fosse il muro a essersi tinto durante la notte, o il resto a essersi scolorito? Resto così, non so per quanto tempo. La camera è satura di azzurro: il pavimento, le lenzuola, persino il bicchiere sul comodino. Tutto è azzurro. 
Con un movimento lento scivolo giù dal letto. I piedi nudi toccano il legno. Vado ad aprire la finestra, l’unica che c’è in questa stanza. Quella vera, per capirci. Fuori sta sorgendo il sole.
Il mare è liscio, immobile. Niente barche. Nessuna vela. Solo mare e luce bianca. Una tortora grugola. L’aria è nitida, muove appena la tenda. Mi volto. Voglio vedere se l’azzurro, ora che entra il giorno, è sparito. Ma è lì. Non si mescola alla luce. È ancora sul muro e attorno a me. La cosa mi rincuora. 
Non mi era mai capitato un infinito privato.
Lascio la finestra spalancata. Mi avvicino al muro. Mi porto a quella distanza in cui gli occhi non mettono più a fuoco e tutto si fa uniforme. Mi siedo sulla sedia, lì, di fianco alla madia, e respiro quest’azzurro. Lascio che gli occhi si perdano in questo colore senza margini. E solo ora me ne accorgo, guardando il pavimento. Il punto dove finisce l’azzurro è netto. Una linea precisa. 
La casa è piccola, bastano sei passi per arrivare in cucina. Lo scolapiatti è a vista. Prendo una tazza, di quelle spesse, bianche, con un bordo appena sbeccato. La porto in camera e la poso sul pavimento, proprio a cavallo della linea dove l’azzurro si interrompe. Ricordo la prima volta che gliel’ho visto fare, con la tazza del caffè, spettinato e in mutande, mentre mi mostrava le due diverse tonalità di marrone del caffè, sotto la luce del sole e in ombra. 
Mi inginocchio per guardare meglio. Il fondo della tazza vuota, qui, è per metà azzurro. Ho affittato questo piccolo bilocale a Boccadasse, solo per avere un luogo da cui scrivergli che non fosse sempre lo stesso. Mi hanno detto che era lo studio di una pittrice. L’idea mi piace. Forse è per questo azzurro che aveva scelto di dipingere qui. Chiederò al panettiere. 
Sposto la tazza con il piede e, nel movimento, rotola poco più in là. Prendo una coperta dall’armadio. La stendo a terra, là dove l’azzurro ora comincia a sbiadire. Accendo il ferro da stiro e sfilo piano la camicia che indosso come pigiama. È bianca, in lino, con le maniche troppo lunghe, i polsini sempre sbottonati, e mi arriva fino a sopra le ginocchia. Me l’ha lasciata, fra le altre cose, prima di partire. La appoggio sopra la coperta e mi inginocchio per stirarla. Ogni passaggio di ferro toglie una piega, ma non cambia nulla del colore sotto. Azzurro. La indosso nuovamente, calda. Chiudo tutti i bottoni, anche quelli dei polsini, e resto così, immersa nell’azzurro. Voglio solo capire che effetto fa: sentire sulla pelle questo silenzio, questa pace, questo infinito che inizia e finisce qui. Oggi devo ritornare a Venezia, dove gli azzurri verdeggiano.
Marzia Vianello
Nota dell’autrice
Sono partita da una frase scritta da Antonio Calderara, autore dell’opera qui inserita “Senza Titolo” (1971), nella sua autobiografia: «Vorrei dipingere il niente che sia tutto, il silenzio, la luce. Vorrei dipingere l’infinito.» Mi sono chiesta se, in scrittura, sia possibile tentare lo stesso. Scrivere del niente che sia tutto. Scrivere il silenzio. Scrivere la luce. E, soprattutto, se in narrativa sia possibile scrivere l’infinito. Senza simboli, senza trama. Solo attraverso un corpo, uno spazio, un gesto. In un tempo come il nostro, abituato all’azione, ai fatti, alle cose che accadono, mi interessava esplorare ciò che non accade. E che, pure, resta.


Cara Marzia,
Ci proverò a dipingere quell'azzurro con i miei acquarelli. Lascerò scivolare l'acqua sul foglio e poi con pennellate che sfuggono via, lo osserverò.
Il tuo racconto mi rimanda un senso di infinito e di libertà.
Sarà un tutt'uno, chi osserverà il mio dipinto non capirà che dentro c'è il cielo, il mare, la luce che si infila negli spazi che resteranno vuoti.
Grazie perché grazie alla lettura dei tuoi racconti mi trasporti in un mondo parallelo al mio.