Il biglietto è per le 19:03. Il mio orologio segna le 19:08.
La stazione odora di ferro bagnato e stoffe rigide. Le valigie riportano le iniziali impresse a caldo. Sono ferma sotto un lampione basso, quasi all’estremità del marciapiede. Appena oltre, piove fitto.
Il cappotto mi sfiora i piedi. I bottoni sono rivestiti di velluto, il colletto di pelliccia nera sfiora il mento ogni volta che abbasso la testa. Richiudo lo sportello di carrozza: la moquette cede sotto gli stivali. Resto in piedi, le mani ancora infilate nei guanti. I sedili rivestiti di velluto rosso sembrano assorbire la luce.
Si sente il fruscio di qualcuno lungo il corridoio. Sfilo il cappotto lentamente. Lo piego e lo poso accanto. Il sedile è tiepido. Mi sistemo, incrocio le mani sul ventre. Il treno non si muove ancora, ma la partenza si avverte all’altezza del torace.
Un colpo sordo. Poi uno strappo. Il ferro vibra sotto i piedi. Lo scompartimento trema. La pioggia riga i vetri dei finestrini. Sulla banchina, un uomo si tira su il bavero. Sopra la porta, l’ottone opaco trattiene un’ombra che si sposta solo quando alzo il polso sinistro. 19:08. Sento di aver dimenticato qualcosa.
Non siamo ancora fuori dalla stazione. La locomotiva fatica a trovare potenza. Ogni carrozza è chiusa dietro il proprio sportello di ferro. E qualcuno sta bussando al mio. Tre colpi netti. Uno. Poi un altro. Poi l’ultimo, confuso tra il cigolio del ferro e lo slancio ancora incerto della corsa.
Sobbalzo. Mi alzo di scatto. Abbasso il finestrino. L'aria fredda mi scompiglia i capelli. Lo vedo sotto la pioggia, sul predellino esterno. Il mantello gli sbatte contro le gambe. Avrà vent’anni. Sorride. Mi porge qualcosa. Salta giù un istante prima che il treno s’allunghi in avanti. La pioggia, nel cono di luce di un lampione di latta sospeso oltre il margine della banchina, non sembra pioggia, ma una sequenza ininterrotta di filamenti di ragnatela, lunghi fino a terra. Dietro, la stazione e la sua luce sfumano, insieme al ragazzo.
E io mi ritrovo in mano una lettera.
Se non fosse per l’ora, ti direi che è troppo tardi. Scorro alla firma. Sante. Chi altro. Lascio il finestrino aperto. Mi lascio cadere sul sedile. Da quando ho capito che il tempo si rompe nei punti esatti in cui non succede nulla, Allegra, da allora, non mi fido più né dei secondi né dei giorni.
Fuori è buio. La pioggia entra dal finestrino e bagna il velluto del sedile di fronte. Quando sarà il momento — e lo sarà — prendi il treno che viene in direzione contraria al mio. Saliremo nello stesso scompartimento. Da quanto tempo va avanti questa storia? Ci sono coincidenze, amica mia, che non si programmano. Succedono. Come il buio. Come il vento. Io sarò comunque lì. Tuo, Sante.
Eccolo, dunque, il mio nuovo punto fisso nel tempo. Non una data ma un’ora: le 19:08.
La carrozza avanza. Il treno ha preso la sua corsa. Non serve che rilegga la lettera. Ora so dove mi trovo. Non più tra due città. Ma tra due direzioni. E da qui, non si scende. Attraverso questa faccenda come si attraversa al buio una stanza che si conosce a memoria: piano, nel timore che una sedia sia stata spostata.
Ora lo so. Non arriverò mai dove sto andando.
Resto seduta nel mio vagone tiepido. Su un altro treno, altrove, Sante è seduto nello stesso modo: mani incrociate, gamba accavallata. E guarda nello stesso punto vuoto. Credo non ci sia nulla, fuori dal finestrino.
La lampadina sopra lo specchio lampeggia. Solo una volta. La solita anomalia elettrica.
Marzia Vianello
Nota dell’autrice:
Questa microstoria è nata osservando "Paesaggio urbano" (1924) di Mario Sironi. Ho cercato di ricreare la stessa atmosfera immobile, grave. La stessa sospensione. Non so se ci sono riuscita ma, soprattutto, che Sironi non me ne voglia!
Allegra, figura così vivida da sembrare reale, mi ha accolto nella sua intimità e ho immaginato che leggesse la lettera
ad alta voce, senza accorgersi della mia presenza.
Non comprendo appieno le parole, eppure le sento, le intuisco nel profondo.
Marzia riesci a rendere i personaggi presenze tangibili e a trasmettere le loro emozioni.
Grazie mille!