Nota dell’autrice:
Ho scelto una delle versioni in gesso de “I Sette Savi” di Fausto Melotti, esposta al Mart di Rovereto. È su questo tipo di presenza silenziosa e tensione trattenuta che si muove la storia a cui sto lavorando e di cui state per leggere l'inizio (forse).
Nervi, per me, è una sorta di memo. E sì: l'aria è tiepida, anche di sera, anche in ottobre. Pure il buio sembra solido, sospeso com'è fra un lampione e l'altro. Dal rumore del ghiaino scomposto nel parco sembra stia per arrivare un manipolo di strasciconi. E invece sono solo pochi collezionisti d'arte. La villa è aperta solo per loro, stasera. E per me, con loro. Diciamolo, con tutta questa scenografia di luna esagerata e foschia e mare e riflessi, un po' lo provo, il senso d’attesa. Davvero. Anche se è fuggevole proprio come i luccicori notturni sull'acqua.
Mi sale uno di quei sorrisi un tantino sbilenchi mentre m'avvicino a una finestra del primo piano. Penso: me l'hanno disegnato apposta questo scenario per farmi sentire più sola del solito? No, certo che no. Lo so. Eppure sono qui non solo perché sono stata invitata. Già. Ne ricevo, di inviti, ma mica ci vado. Qui sì. Beh, la verità è che dovrei incontrare il Signor S., stasera. Almeno, così penso. Voglio dire, io so che ci sarà. Lui sa che ci sono. Non ci siamo mai incontrati prima. Solo scritti. Già, proprio così, avete presente le lettere, quelle che si imbucano?, ecco, quelle: roba d'altri tempi, un par avion avanti e indietro, un gran daffare per i postini. Che poi ha cominciato lui. Gli ho comprato un pezzo e me l'ha spedito. Siamo due grandi appassionati di Art déco. Anzi no, lui è un collezionista di quelli veri e io sono una collezionista atipica. Insomma, poco importa, sta di fatto che da quella spedizione è cominciata la faccenda delle lettere. Così, quando lui mi ha scritto "Sarò a Nervi, il 30 ottobre", io gli ho risposto: "sono stata invitata anche io". Ci sarà? Non ci sarà? E chi lo sa? Però dovrei poterlo riconoscere: benedetto internet. Ma sono qui anche per lei. Posso mica mentire. Motivo per cui sono arrivata anche leggermente in anticipo, sono salita al piano di sopra, mi sono infilata in una stanza molto avvolgente, con il pavimento in legno a lisca di pesce ormai opaco dal tempo, quasi totalmente al buio, al buio la boiserie, la specchiera, gli argenti sopra il camino, le ceramiche, la pendola, i quadri alle pareti.
E' illuminata solo lei. La donna con ventaglio. Un busto femminile del 1920. Il giro sensuale delle pieghe allentate del ventaglio è di una bellezza commovente. Lo è ancor di più l’ombra che getta sulla parete. E’ un’orientale, la donna con ventaglio.
Seduta sul margine del letto, ante dell’armadio aperte, cosa mi metto cosa non mi metto, gli abiti appesi alle grucce mi ricordano gli uomini in metropolitana, uno dietro l’altro. E quando la metro imbocca in frenata una curva stretta, i loro corpi immobili, tutti assieme, vengono spinti in avanti e simultaneamente anche di lato. Rido: gli uomini che viaggiano all’interno del mio armadio non solo non si spostano lungo un rettilineo ma nemmeno si spostano di lato, a meno che non decida di traslocare. Meglio che la smetta di fare l’imbecille. Mi alzo. Sfioro i tessuti con le dita. Scivolo tra toni scuri, neri intensi e qualche accenno di bianco e grigio. Pensavate mica di trovare un abito rosso nel mio armadio, vero? Tagli sobri, linee essenziali. A destra, le mise che tendo a indossare solo in certe occasioni. Cincischio. So già cosa indosserò. Sì, proprio così: è difficile che non lo sappia, voglio dire, guardatemi! Posso solo e soltanto puntare sul mio aspetto un tantino androgino e sul collo, sì, il collo. E poi qui si tratta di un evento importante, per pochi intimi. E poi il Sig. S. Se voi pensate che la decisione di partecipare a questa reunion sia dettata dal desiderio inammissibile di un incontro al buio, ebbene, avete ragione. Un po’.
Il colletto tipicamente alto, dritto e verticale, rotondo sul davanti, finisce in una stretta scollatura a v sulla forchetta dello sterno, e io, proprio su questa fossetta, ci faccio cadere un pendente anni Venti in oro bianco inciso a mano, è un dettaglio troppo perfetto per una serata in cui ogni scelta non può che essere un gesto di consapevolezza; il taglio sfiancato in vita, la lunghezza al ginocchio, le maniche ampie e fluide. In seta nera, con dei sottili dettagli ricamati tono su tono, quasi impercettibili, che richiamano motivi geometrici vicini all’Art déco. L’ho fatto fare a Pechino, durante un viaggio di lavoro, questo hanfu yi, che dovrebbe essere un abito ma io non vesto abiti e poi non scimmiotterei mai un’altra cultura a questo modo e così l’ho fatto adattare a me. E ci abbino un paio di pantaloni scivolati, neri, dal taglio pulito e morbido, di quelli che quando cammini creano dei movimenti quasi ondulatori e cadono leggeri lungo le gambe. Tacco rigorosamente basso.
E ora che sono in cima alle scale della villa e, dall’alto, cerco di capire chi sia arrivato e Leglet è perfetto nel suo smoking nero, Donna sfodera il suo stile impeccabile come fosse una pennellata di viola e bronzo, la giovane Rijita esprime tutto il suo languore esotico, altri smoking neri quelli di Carlos e Paul, mi rendo conto che sono tutti rigorosamente accompagnati e dal terrazzo a strapiombo sul mare arrivano altre voci: la risata baritonale di Fran mi distrae. La corporatura asciutta. I capelli quasi del tutto bianchi, corti e disordinati. Gli occhiali con una montatura quasi invisibile abbassati sulla punta del naso. Il volto spigoloso. E una giacca da smoking in velluto liscio d’un blu petrolio scuro con i revers in raso. Lo vedo salutare con dei cenni di capo. Riempie lo spazio attorno a sé con piccoli gesti misurati, allunga un braccio e la mano verso Leglet mentre continua a camminare, gli sfiora la giacca. Ora qui, capite, si presenta la questione: scendo?, non scendo? Lo vedo infilare la porta che dà sulla terrazza. Wind, che fai lassù?, si fa sentire Fran e mi blocco. Per chi non lo sapesse, sono timida. Nemmeno la mia giacca in seta, questa sera, saprà rendermi inaccessibile come accade di solito. Sorrido: ora scendo. E invece giro i tacchi e torno nella stanza semioscura, un getto di luce monarca solo sulla scultura della donna con il suo ventaglio. Ci sto davanti e ora quella luce colpisce anche me, alle spalle, si riflette sulla giacca di seta e proietta ombre lunghe e sottili sulla scultura e sulla parete. Sento qualcuno salire le scale. Ecco che, trovandomi nell'atmosfera ovattata e un po' rétro dell'Hotel de la Jeunesse, sprofondato in poltrona, non so fare altro che scriverti. Un momento di esitazione sulla balaustra. C'è un sax soprano in sottofondo, l'albergo è deserto e mi sento molto decadente, qui, a scriverti l'ennesima lettera, Allegra. Mi domando in che razza di complicazioni ti sarai mai cacciata tu nel frattempo. Potrebbe anche non essere il Sig. S., in fin dei conti. Un lieve movimento della mia mano, un gesto quasi inconsapevole, e sfioro con l’ampia manica il bordo della scultura. Un fruscio lieve ma sufficiente a far ondeggiare l’ombra proiettata sulla parete. Sento dietro di me dei passi discreti sul pavimento in legno. Ti va se ci sbronziamo un po’, stasera? Così, un po' per noi, un po' per tutti quelli che ci hanno amato e se ne sono scappati altrove e un po' per il piacere di farlo. Perché no, Allegra? E poi si fermano. Dietro di me. Almeno a un metro da me. Non può che essere lui. La donna con il ventaglio osserva tutto da sotto il suo sguardo basso. Sarò a Nervi, il 30 ottobre. Anche la stanza, a questo punto, si mette ad ascoltare. Mi volto? E invece resto immobile come la donna con il ventaglio. Un secolo di attesa. È fermo dietro di me. Percepisco la sua incertezza, come fosse corrente. Sante. Lo sento allontanarsi, i suoi passi lenti si fanno via via più deboli. La scultura sembra muoversi per un attimo, come se il gesto della mia mano stesse dando vita alla sua ombra. Un’ illusione. I passi sulle scale accelerano il loro ritmo. Forse, una delle più belle sculture degli anni Venti.
Marzia Vianello
Cara Marzia, riesci a dare vita alle immagini che descrivi. Gli abiti appesi alle grucce che sembrano uomini in fila in metropolitana. E poi, il modo in cui una stanza può mettersi 'ad ascoltare', o una scultura quasi a respirare. Mi ha fatto sentire ogni sfumatura, ogni emozione, come se i luoghi stessi avessero un'anima. Grazie ❤️