“Ma è solo un rotolo di carta igienica”, sussurra la donna.
Lo stanzino odora di plastica e di prodotti per le pulizie. Un neon giallastro tremola sul soffitto.
Siede con la borsa e la sporta floscia sulle ginocchia, le dita intrecciate ai manici come se qualcuno potesse strappargliele via. Ha le clavicole sporgenti, come se il suo corpo fosse sottovuoto. A guardarla, non le si danno più di trentacinque anni.
Dall’altra parte del tavolino, in piedi, la guardia giurata la fissa con il labbro inferiore premuto tra i denti. Nel mezzo, il rotolo di carta igienica, nudo.
La guardia, un uomo sui quaranta, stempiato, si appoggia alla parete. “Non è questione di cosa sia, signora. Il punto è che lo stava rubando, sa?”
La donna stringe le dita attorno al manico della sporta. “Ma è solo un rotolo di carta igienica”, insiste, abbassando ancora di più la voce.
Lui si stacca dalla parete, fa un gesto vago con la mano. “Uno, appunto. Ma dovrebbe pagare il prezzo di quattro, sa?”
Lei annuisce, lentamente. “Solo un rotolo… E’ che non mi hanno rinnovato il contratto.”
“Non so che dirle, sa? Io devo fare rapporto sul suo tentato furto. E poi, c’è tutta la confezione, sa?”
La donna si passa una mano sulla fronte. “Ed è morto mio padre.” E abbassa lo sguardo verso il pavimento.
Lui rimane in silenzio per un istante. “Mi dispiace”, dice.
“E non è mica morto il due del mese, no. E’ morto il ventotto. Così la sua pensione non è arrivata. E il mio contratto, niente. Mi hanno detto: ‘Avrà bisogno di più tempo libero, ora che suo padre è terminale’. Tempo libero, hanno detto. Così, niente più lavoro. Non ero mica assunta.”
La guardia inspira a fondo, scrolla la testa. “E io faccio la stessa fine, sa? E mi dispiace, davvero. Ma se io non faccio il mio dovere, perdo il lavoro. Ho una moglie, un figlio. Lei ha figli?”
“No.”
“Un marito, un compagno?”, incalza.
“No.”
“Qualcuno che possa venire qui, ora, a pagare i quattro rotoli di carta igienica? Così io non segnalo il tentato furto.”
Lei stringe appena le labbra. Sente di non avere nessuno, lei. “Il rotolo però è uno.”
Lui sospira, allarga le braccia, poi le lascia cadere lungo i fianchi. “E io devo segnalare il suo tentato furto, sa? Non posso farne a meno. Sono già nel mirino del mio supervisore, sa? Perché ho aiutato una vecchietta. Adesso lei. Eh no. Non finisco mica come lei, io, sa?, no no.”
La donna si raddrizza. Si sistema la giacca, come per scrollarsi di dosso qualcosa. Alza lo sguardo, solleva appena il mento. “Ha ragione. Sta solo facendo il suo lavoro e non voglio metterla in difficoltà. Le serve il mio documento?”
Lui esita. “Sì, beh… il documento… dovrei chiamare la polizia. Perché questo è un tentato furto, sa? La polizia.”
Lei annuisce. “Capisco, capisco. Ecco, io sono questa.” Gli porge la carta d’identità.
Lui la prende, se la rigira fra le dita. “Non poteva chiederlo in prestito, che so? Ce l’avrà pure una vicina di casa, no?”
La donna fa cenno di no. Ne avrebbe, certo, di persone a cui rivolgersi. Ma nessuno sa in che stato è ridotta, e non vuole che lo sappiano.
“Non credo che la sua dirimpettaia… E guardi che sto per chiamare la polizia, sa? Se fosse stato cibo, magari …”
La donna lo fissa dritto negli occhi. “Cibo, dice? Io non ruberei mai del cibo.” Il tono è fermo, quasi offeso.
Lui inarca un sopracciglio. “Come, scusi?”
“Il cibo è per gli anziani. Le famiglie. I bambini. I ragazzi che studiano. Io posso farne a meno.” Fa scorrere un dito sul bordo della sporta vuota, indugia un istante, poi continua: “Ci sono piccole cose di cui nessuno parla, perché si dà per scontato di averle sempre. Poi succede qualcosa, e scopri che costano più di una confezione di uova. E ti chiedi come sia possibile.” Solleva il rotolo. “Come questa.”
L’uomo le tiene gli occhi addosso ancora qualche secondo, poi deglutisce, si sfrega la nuca. Non dice nulla. Si stacca di nuovo dalla parete, sgancia la radio dalla cintura e preme un tasto. “Matricola ML59746, Via San Gottardo. Ho bisogno di un intervento per tentato furto.”
Lei inspira a fondo, allarga il torace, le spalle. Annuisce, con calma. E’ un gesto di assenso. Di esattezza: “Tentato furto di un rotolo di carta igienica.”
Lui la fissa per un lungo istante. Poi sospira, scuote la testa e si siede di fronte a lei. “Una confezione da quattro, sa?”
La donna inclina appena il capo. “Eh, caro signore, a dare per certa la vita, questo sì è un grave errore, mi creda.”
Lui abbassa lo sguardo, intreccia le mani sul tavolo. Non replica. Aspettano.
Marzia Vianello
Nota dell’autrice
Scrivere questo racconto è stato un esercizio di precisione e ascolto. Non volevo raccontare solo un gesto, volevo stare sul bordo sottile su cui tutti, prima o poi, ci muoviamo senza accorgercene: quel confine dove il necessario diventa improvvisamente inaccessibile. Per questo ho scelto di affiancare al racconto l’opera Untitled (1959) di Agnes Martin. La sua griglia silenziosa, fragile, appena percettibile, racconta, a mio parere, dell’equilibrio precario tra l’ordine minimo e il vuoto che si insinua. Una superficie apparentemente immobile che, proprio perché così ridotta all’essenziale, trattiene una tensione nascosta, la stessa linea invisibile su cui si cammina quando si rischia di perdere tutto.
Opera visiva
Agnes Martin, Untitled, 1959.
© Agnes Martin / Artist Rights Society (ARS), New York.
Allora...che dire... questi tuoi esercizi di scrittura sono veramente emozionanti. Io non sono un critico letterario ma una grande lettrice onnivora. I tuoi racconti mi ricordano molto Alice Munro....bravissima
Resta solo un fatto certo. Che lei cara Marzia è davvero brava